giovedì 12 aprile 2018

TVATT: intervista a Luigi Morra





Nella seconda parte dell’intervista al cast di TVATT, vi proponiamo il pensiero del regista Luigi Morra… buona lettura!

-Come nasce lo spettacolo e quanto c’è di autobiografico? In che modo l’esperienza personale del regista si riflette ad esempio nel brano che da ultimo sembra dare significato all’intera rappresentazione?

Lo spettacolo nasce da una un’esigenza che porto dentro da diversi anni: trasformare le energie di una determinata materia in performance teatrale. La curiosità che mi ha portato a TVATT è certamente legata a esperienze osservate, vissute indirettamente e a tratti anche direttamente, ma non per questo definirei il lavoro autobiografico. Ci sono io sicuramente, ma a questo non si sfugge mai, quando si scrive e si sta in scena.  Il testo finale l’ho scritto per il primo esperimento di TVATT, una breve performance presentata a Lunarte nel 2014.  Avevo una serie di spunti su cui improvvisare, alcune primissime registrazioni, il microfono, gli zoccoli e questo testo. Sviluppando il lavoro, quel testo è finito in secondo piano e la necessità di farlo quasi scomparire la sveliamo in scena.



-Lo spettacolo circola in Italia già da alcuni anni e col tempo si è arricchito di espedienti performativi diversi: l’interazione con il pubblico, il monologo, l’utilizzo della loop station, il contributo video, come a voler sfruttare al massimo tutti mezzi che il teatro mette a disposizione, in maniera ampia ma ragionata.
A proposito del contributo video, qual è il valore che questo aggiunge alla narrazione? Cosa raccontano quelle immagini che non poteva essere affidato alla mera voce degli attori?

La dimensione del video, curato da Domenico Catano, aggiunge un momento di  linguaggio tra il televisivo e il documentaristico. Il lavoro sulle immagini video rievoca anche i territori trattati e crea raccordi con alcuni elementi della scena, inoltre il video mette una vera e propria pausa all’azione degli attori, crea un clima sospeso in cui noi stessi in scena ci fermiamo per guardare il filmato.



-Sul palco si fa un uso disinvolto della tecnologia, per quanto riguarda la musica però hai optato per una performance dal vivo, in cui i tre elementi dell’orchestra (pianoforte, viola e batteria) reagiscono alle emozioni degli attori modulando la loro intensità su richiesta, a seconda dell’andatura del racconto.
Come nasce la collaborazione con i Camera? È il primo progetto che realizzate insieme?

Camera è un progetto che mi vede direttamente coinvolto, insieme a Marco, Antonio e Agostino lavoriamo da diversi anni a un’idea di musica che incontra il teatro. Con Etérnit abbiamo prodotto due lavori discografici dei Camera.  Lo spettacolo non nasce con l’idea ferma delle musiche suonate dal vivo, è una possibilità che consideriamo in alcune occasioni, come è stato per il tour tra Belgio e Olanda.



-Tu sei regista “uno e trino”, presente fuori e dentro la scena e finanche nella pseudo-intervista di post produzione proiettata nel video.
I continui momenti in cui il personaggio-regista interrompe la narrazione, dirigendo attori improvvisati presi tra il pubblico, spiegando la psicologia del “violento” o discutendo con gli altri personaggi sulle scelte drammaturgiche, restituiscono allo spettatore l’idea di star assistendo alla prova generale di un’opera in fieri più che a un’esperienza compiuta. Come motiva il regista-regista questa esigenza di ricorrere al non finito? 

In TVATT i concetti di “imprevedibile” e “interrotto” sembrano prendere il posto di “inizio” e “fine”. Se ci pensi, le risse, le mazzate, sono un po’ così: una cena composta al ristorante può diventare all’improvviso un circo degli schiaffi e un attimo dopo tornare ad essere una cena al ristorante.  



-Questa è la prima volta che lo spettacolo viene proposto all’estero, quali sono le difficoltà (se ce ne sono state) che avete riscontrato nel confronto con un pubblico straniero? Penso ad esempio alla lingua, all’uso spinto di un italiano regionale che spesso risulta di difficile comprensione anche per alcuni italiani. Avete in qualche modo riadattato i testi, smussando le espressioni più oscure, o non ce n’è stato bisogno ritenendo che la musica, la mimica e l’espressività vocale abbiano comunque reso il senso dell’opera?

La dimensione performativa dello spettacolo, specie nella parte che coinvolge attivamente il pubblico, ci ha portati a rapportarci con un pubblico straniero giocando proprio con la consapevolezza di questo fattore. Il dialetto marcato vuole mettere un confine, un muro, determina un codice netto che sembra voler dire “se non capisci non è un mio problema”; al contempo, in questo clima, la difficoltà di farsi comprendere diventa una sfida quasi del “personaggio”, che va a caricare la dimensione narrativa e drammaturgica fatta appunto di gesti, immagini, suoni e musicalità del linguaggio.



-Il titolo Tvatt allude a una specifica realtà territoriale, quella campana e provinciale, che da subito si manifesta nel linguaggio, nelle posture e nei richiami narrativi, come se l’energia che esplode in violenza quando la propria individualità urta con quella degli altri potesse essere circoscritta geograficamente.
Sappiamo invece che certe dinamiche sono universali (basti solo pensare ai banlieue francesi) e da qui parte la precisa scelta di presentare l’opera in luoghi aperti a riflessioni culturali di ampio raggio, come La Dante di Anversa e gli Istituti Italiani di Cultura di Bruxelles e Amsterdam. Dovendo però pensare anche a un altro tipo di pubblico potenziale, italiano o straniero, a chi ritieni possa indirizzarsi la vostra pièce?

Partire da un linguaggio circoscritto per raccontare una questione diffusa a livello globale è quello che ci interessa forse di più.  Nella pièce elemento fondamentale è proprio il feedback del pubblico, sia quando esso è più vicino alle tematiche per questioni geografiche o personali, sia quando lo sguardo appare distaccato e diventa quasi un’indagine antropologica. Può sembrare ovvio, anzi lo è, ma mi piacerebbe portare TVATT in Inghilterra, per approfondire concretamente il ponte che proviamo a creare tra TVATT e East e West.


A cura di Rossella Pensiero


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